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ABUSO DI MAGGIORANZA: ELIMINAZIONE DEL DIRITTO DI PRELAZIONE

Il Tribunale di Milano Sezione Specializzata in Materia di Imprese (ordinanza depositata il 19/01/2015 e reperibile su www.giurisprudenzadelleimprese.it) si pronuncia in tema di abuso di maggioranza per una delibera assembleare con cui i soci di maggioranza hanno eliminato il diritto d’opzione.

Il Tribunale ricostruisce, sinteticamente ma efficacemente, il fondamento della figura dell’abuso nel voto che va ricercato nella natura contrattualistica del rapporto societario, contratto associativo in base al quale i soci pongono in essere in comune l’esercizio di un’attività economica a scopo di lucro. Pertanto, vista la natura contrattualistica del rapporto societario, allo stesso si applicheranno i principi che regolano i rapporti contrattuali in generale, tra i i quali il dovere di collaborazione e di buona fede nell’esecuzione dei contratti (con la precisazione che le delibere assembleari altro non sono che esecuzione del contratto sociale). Le fattispecie abusive sono “connotate dal fatto che il voto del socio abusante, in violazione dei principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto, è finalizzato a danneggiare altri soci in assenza di ragioni giustificatrici. Sicché ne sono sintomi, tra l’altro, la mancanza di motivazione, l’esclusivo vantaggio proprio o di terzi perseguito dal socio abusante e la mancanza di vantaggio od il danno all’interesse sociale. E’ solo il caso di sottolineare che l’abuso del diritto di voto ricorre certamente nell’ipotesi in cui il socio di maggioranza voti una delibera all’esclusivo scopo di causare un danno al socio di minoranza, ma include anche l’ipotesi in cui quel danno determini nel contempo un vantaggio per il socio di maggioranza“.

La vicenda:

-tre soci: A (al 49,50%) B (al 49,50%) C (al 1%)

-A+B stipulano un accordo di covendita delle loro partecipazioni in base al quale si obbligavano a vendere qualora avessero ricevuto offerte di acquisto vincolanti per un prezzo di almeno 35milioni “cash and debt free”;

-nessuna offerta di acquisto raccolta dall’advisor incaricato attivava l’obbligo di co-vendita;

-il Fondo X (partecipato dall’advisor) formulava un’offerta che il socio A riteneva non sodsfacente  che, quindi, non l’accettava facendo sfumare la vendita;

-il socio B (dimettendosi dal c.d.a. determinandone la decadenza per l’operatività della clausola simul stabunt simul cadent) ed il socio C, costituendo una nuova maggioranza in opposizione al socio A, nominavano un nuovo c.d.a. che convocava immediatamente una assembleare straordinaria volta ad eliminare la clausola statutaria del diritto di prelazione;

-nell’arco dei 10 gg successivi, il perito incaricato depositava elaborato di stima del valore delle azioni, criticabile secondo il collegio sindacale,

-il mese successivo veniva convocata l’assemblea straordinaria che eliminava il diritto di prelazione statutariamente previsto;

-il giorno successivo all’eliminazione del diritto di prelazione i soci B e C cedevano a Y (partecipata al 77% dal Fondo X) le loro partecipazioni, e Y, quale nuova maggioranza, imponeva un nuovo amministratore (marito dell’ex socia B);

-il socio A impugna la delibera di soppressione del diritto di prelazione per abuso di maggioranza.

Correttamente il Tribunale di Milano rileva come sia riconosciuto alla maggioranza il potere di modificare lo statuto eventualmente anche sopprimendo il diritto di prelazione (con il bilanciamento dell’interesse del socio dissenziente costituita dal diritto di recesso dalla società con pagamento del corrispettivo previamente indicato dagli amministratori), ma tale situazione non può tradursi nel diritto della maggioranza di privare il socio di minoranza della possibilità di esercitare il diritto di prelazione nel caso in cui siano presenti o di imminente verificazione i presupposti per l’esercizio della prelazione stessa.

In pratica la condotta in astratto lecita si connota di abusivismo sulla base del dato temporale: “L’eliminazione della previsione statutaria che prevede il diritto di prelazione è possibile intanto in quanto essa non elimini anche nel contempo il diritto di prelazione esercitabile dal socio al momento della deliberazione o in un momento subito successivo. Del resto, se un diritto non è più tale se è consentito al controinteressato eliminarlo a suo arbitrio: se fosse consentito alla maggioranza di cancellare i diritti statutari della minoranza, proprio quando la maggioranza ha posto in essere o sono imminenti situazioni in cui essi possono essere esercitati, allora significherebbe non riconoscere alcuna effettività a quei diritti e, infine, allo statuto in quanto tale. E, in particolare, consentire la rimozione della clausola di prelazione in presenza dei presupposti di fatto che legittimano l’esercizio del diritto ivi previsto -cioè nell’imminenza di una vendita-, significa consentire l’abrogazione di fatto dello stesso diritto di prelazione, ad arbitrio della maggioranza. Se ciò accade, è evidente che la maggioranza ha esorbitato i limiti del suo diritto incorrendo in abuso“.

Il Tribunale di Milano, nel caso di specie, ha dedotto, dall’esame della scansione temporale degli eventi, che la soppressione del diritto di prelazione è avvenuta il giorno prima della vendita della partecipazione, così privando il socio estromesso dalla possibilità di esercitare tale diritto. Dall’esame dei concreti vantaggi derivati ai soci B e C dalla cessione della loro partecipazione e dei danni derivanti al socio A dal mancato esercizio della partecipazione, il Tribunale ha concluso che la soppressione del diritto di prelazione è stata realizzata all’unico scopo di ottenere un vantaggio individuale e particolare per i soci B e C che altrimenti non l’ avrebbero ottenuto.