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L’ASSEGNO DIVORZILE COME E’ CAMBIATO DOPO LE SEZIONI UNITE 18287/2018

Avevamo già detto qui che con la sentenza n.11505/2017 la Cassazione aveva bruscamente cambiato la prospettiva nella valutazione della concessione dell’assegno di divorzio al coniuge economicamente più debole facendo di fatto venir meno il concetto di mantenimento del tenore di vita precedentemente goduto in costanza di matrimonio.
L’assegno divorzile viene concesso sulla base del dettato normativo di cui all’art.5 L.898/70 al coniuge “che non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive”.
L’iniziale interpretazione consolidatasi per quasi un trentennio riconosceva all’assegno divorzile una funzione assistenziale il cui presupposto -nell’an debeatur- era l’insufficienza di mezzi “adeguati”, concetto di adeguatezza che veniva ancorato a quello del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.

Verificato l’an, ossia il diritto all’assegno, per calcolarne l’ammontare il giudice faceva poi riferimento ai parametri indicati dall’art.5, co.6 L.898/70 ossia teneva conto “delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascun o di quello comune, del reddito di entrambi … anche in rapporto alla durata del matrimonio”.
La critica a questo orientamento mossa dalla Cassazione con la sentenza 11504/2017 è stata quella di evidenziare come si rischia di creare delle rendite di posizione a favore del coniuge avente diritto all’assegno. Con tale primo intervento, la Cassazione ha affermato che il presupposto dell’attribuzione dell’assegno è sempre l’inadeguatezza economica ma tale mancanza di mezzi non deve più parametrarsi al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, quanto al concetto di autosufficienza economica del coniuge richiedente.

Pertanto il giudice, di fronte alla domanda di assegno divorzile doveva valutare quale fosse il patrimonio/rendite/reddito da lavoro del coniuge richiedente e, in caso di autosufficienza dei mezzi, nessun assegno si sarebbe dovuto riconoscere indipendentemente da quello che fosse il tenore di vita goduto durante il matrimonio.


L’applicazione pratica di tale principio si è prestata a numerose critiche perché di fatto creava un forte disequilibrio post matrimoniale in danno al coniuge che non aveva potuto accumulare ricchezze o raggiungere posizioni lavorative apicali o remunerative per scelte fatte durante il matrimonio. Si pensi ad esempio al caso classico della moglie che rinuncia al proprio percorso lavorativo o compie scelte al ribasso per avere più tempo da dedicare ai figli e alla famiglia. All’esito del divorzio se avesse avuto uno stipendio magari minimo non si sarebbe vista riconoscere nulla essendo economicamente autosufficiente con un marito magari divenuto primario.


Questo orientamento così severo e francamente ingiusto poiché non tiene conto e non valorizza le scelte compiute di comune accordo dalla coppia durante il matrimonio che possono aver compromesso le ambizioni professionali di quello che, all’esito del divorzio,è il coniuge economicamente più debole, è stato mitigato dai tribunali di merito che hanno introdotto come correttivo le funzioni compensative e perequativa dell’assegno divorzile accanto a quella strettamente assistenziale.

Di fatto questo correttivo è stato abbracciato dalle Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n.18287/2018 in cui, premesso il venir meno della differenza tra criteri attributivi dell’assegno (l’insufficienza di mezzi da parametrarsi al tenore di vita precedentemente goduto o all’autosufficienza economica tout court) e criteri determinativi (durata del matrimonio, cause della crisi, contributo alla conduzione della famiglia e formazione del patrimonio familiare e personale etc), si afferma come la lettura della norma debba avvenire alla luce del principio solidaristico di cui è espressione la famiglia e che permane anche dopo lo scioglimento del matrimonio/cessazione degli effetti civili.

La funzione assistenziale dell’assegno deve essere letta alla luce dei parametri di cui all’art.5, co.6 L.898/70.

In pratica, il giudice dovrà verificare se vi è una sperequazione tra i coniugi e nel caso sussista dovrà verificare, anche facendo ricorso ai suoi poteri istruttori, se sia dipesa o meno dalle scelte fatte dai coniugi durante il matrimonio e confermate e che possono avere delle conseguenze non più modificabili (es scelte lavorative) e quindi dare un peso al ruolo endofamiliare assunto da ciascun coniuge e che deve avere un corrispettivo all’esito del divorzio. In questo caso specifico quindi l’assegno divorzile avrà una funzione compensativa-perequativa tale da ristabilire l’equilibrio tra i coniugi (funzione riequilibratrice del reddito vds. Cass. Ord.30.04.2021 n.11472) non nel senso di ricostruire il tenore di vita endoconiugale ma nel senso di riconoscere il valore al ruolo e del contributo del coniuge economicamente più debole alla realizzazione della vita familiare, alla formazione del patrimonio della famiglia e personale.

E’ importante quindi che nel colloquio con l’avvocato emergano tutti gli elementi utili per una ricostruzione completa della vita familiare a cui dare il giusto risalto.