Blog

AMMINISTRATORE DI SOSTEGNO O INTERDIZIONE?

È noto che esiste un favor del nostro ordinamento verso l’ADS in quanto misura più duttile nell’adeguarsi alle esigenze del soggetto, più semplice nella sua strutturazione e procedura applicativa (in tal senso Cass. n. 22332/2011) e meno invasiva sulla dignità del soggetto la cui residuale capacità viene rispettata soprattutto attraverso il dovere imposto all’ADS dall’art.410 c.c. di “tener conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario”. È quindi presupposto indefettibile per l’applicazione della misura che il beneficiario mantenga una certa capacità e sia, di conseguenza, in grado di esprimere -in un costante dialogo con l’ADS- tali bisogni e aspirazioni.

È altrettanto noto che l’ADS non ha abrogato l’istituto dell‘interdizione che resta, comunque, la misura ideale per il soggetto che, affetto da abituale infermità, non possa trovare “adeguata protezione” nell’ADS. Tale valutazione deve effettuarsi secondo i parametri elaborati dalla giurisprudenza tenendo conto della complessiva situazione psicofisica e dei bisogni da soddisfare, della concreta esistenza del pericolo che altri possa approfittarsi del soggetto debole, dell’esistenza di una rete familiare o sociale che possa aiutare il soggetto e che fornisce di fatto protezione a livello personale e/o sanitario (in tal senso, ex multis, Trib. Bologna sentenza n.1096/2017 e n.775/16 reperibili su www.giuraemilia.it). “In materia di distinzione tra amministrazione di sostegno e interdizione, la scelta dell’una o dell’altra misura deve tenere conto in via prioritaria del tipo di attività che deve essere compiuta per conto del beneficiario, nel senso che ad ‘un’attività minima, estremamente semplice, e tale da non rischiare di pregiudicare gli interessi del soggetto, vuoi per la scarsa consistenza del patrimonio disponibile, vuoi per la semplicità delle operazioni da svolgere (attinenti, ad esempio, alla gestione ordinaria del reddito da pensione), e per l’attitudine del soggetto protetto a non porre in discussione i risultati dell’attività di sostegno nei suoi confronti … corrisponderà l’amministrazione di sostegno’ mentre si potrà ricorrere all’interdizione quando si tratta di ‘gestire un’attività di una certa complessità, da svolgere in una molteplicità di direzioni, ovvero nei casi in cui appaia necessario impedire al soggetto da tutelare di compiere atti pregiudizievoli per sé, eventualmente anche in considerazione della permanenza di un minimum di vita di relazione che porti detto soggetto ad avere contatti con l’esterno. Come ulteriore criterio … il giudice può considerare ‘anche la gravità e la durata della malattia, ovvero la natura e la durata dell’impedimento, nonché tutte le altre circostanze caratterizzanti la fattispecie (cfr., ad esempio, Cass.22 aprile 2009, n.9628). L’amministratore di sostegno, infatti, …. non si sostituisce al rappresentato ma sceglie ‘con questo’ il suo best interest’ (Trib. Varese, decreto 6 ottobre 2009: Trib. Teramo). Fatta questa debita premessa, rileva il Collegio che nel caso di specie dalle acquisite risultanze processuali emerge come il X non sia assolutamente in grado né di provvedere ai propri interessi di carattere economico e personale, oltre che pratico -quotidiano, né di esprimere il consenso informato ai trattamenti sanitari in ragione della gravità delle sue condizioni di salute, rendendosi opportuna l’applicazione dello strumento di protezione rigido e maggiormente incidente sulla capacità di agire (v.art.1 L. n.6/2004) costituito dall’interdizione. Il X, infatti, per effetto della patologia di cui soffre, risulta assolutamente e permanentemente incapace di curare i propri interessi, non solo da un punto di vista patrimoniale, ma anche e sopratutto da un punto di vista civile, privato, sociale e familiare” (Trib. Bologna sent. n.775/2017 su www.giuraemilia.it).

Altre ipotesi in cui l’ADS si rivela inadeguata dovendosi preferire l’interdizione ricorrono quando il patrimonio del disabile è cospicuo e complesso, cosicché non sarebbe possibile individuare specificamente nel provvedimento ex art.407 c.c. i singoli atti o tipologie di atti deferite all’amministratore e, in secondo luogo, quando occorre decidere contro o in assenza della volontà del beneficiario la struttura in cui deve essere ricoverato per necessità di cura. In questa seconda ipotesi, è stato correttamente affermato che la scelta legislativa dell‘art.411 c.c. di non richiamare l’art. 371 c.c. tra le norme applicabili all’amministrazione di sostegno esclude che il Giudice Tutelare abbia il potere di statuire sul luogo di residenza e di cura del beneficiario contro il suo volere. Non si rinviene infatti nella disciplina dell’amministrazione di sostegno alcuna norma che consenta, nel rispetto dell’art.13 della Costituzione, una qualche forma di restrizione della libertà personale (quale appare senza dubbio quella di mantenere un individuo in un luogo contro la sua volontà). Non è sufficiente al riguardo richiamare l’ultimo comma dell’art.411 c.c., secondo cui nel provvedimento ex art.407 c.c. il Giudice Tutelare può estendere al beneficiario dell’amministrazione di sostegno determinati effetti, limitazioni o decadenza previste dalla disciplina in materia di interdizione, perché l’ultimo comma regolamenta le eccezioni all’ordinaria disciplina della amministrazione di sostegno e non può essere satisfattivo della riserva di legge imposta dall’art.13 Cost un implicito richiamo in via di eccezione rispetto ad un sistema diversamente costruito. Nel caso quindi in cui emerga la necessità (conseguente alle esigenze di salute del malato psichiatrico) di una sua collocazione di cura in un luogo per il quale non vi è consenso da parte di quest’ultimo, tale scelta potrà essere presa solo nell’ambito della disciplina della tutela ex art.371 c.c.(cfr. Giudice Tutelare del Tribunale di Bologna, decreto 30.11.2007)”.(Trib. Bologna sent. n.1354/2008 reperibile su www.giuraemilia.it).

E’ evidente che la scelta in concreto di quale sia la misura da applicare non può prescindere da un esame attento e scrupoloso della situazione di fatto in cui versa il soggetto debole da tutelare.