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AZIONE DI RESPONSABILITA’ DEL CURATORE VERSO L’AMMINISTRATORE: DANNO RISARCIBILE E CRITERIO DI LIQUIDAZIONE DEL DANNO DOPO LE SEZIONI UNITE SENTENZA N.9100 DEL 06/05/2015 -II PARTE

La soluzione. Anche per le azioni di responsabilità contro gli amministratori valgono i noti principi sanciti dalle Sez. Unite n.13533/2001 secondo i quali il creditore che agisce sia per l’adempimento che per la risoluzione del contratto deve fornire la prova della fonte negoziale o legale del diritto e deve allegare l’inadempimento contestato che deve essere “qualificato” ossia astrattamente efficiente alla produzione del danno (vds Cass. S.U. 577/2008), gravando inoltre sull’attore l’onere di provare il danno ed il nesso causale.

Chiarito questo indefettibile presupposto, le S.U. precisano come solo in presenza di inadempienti qualificati dell’amministratore che possano astrattamente produrre l’intero deficit patrimoniale (ossia violazioni del dovere di diligenza nella gestione dell’impresa generalizzati a tal punto “da far pensare che proprio a cagione di esse l’intero patrimonio sia stato eroso e si siano determinate le perdite registrate dal curatore“) potrà addossarsi all’amministratore il danno pari alla differenza dei netti fallimentari, diversamente tale criterio non appare percorribile in quanto “fatalmente privo di ogni base logica“. Infatti l’attività di impresa è intrinsecamente connotata dal rischio e comunque non è corretto addossare all’amministratore passività che si siano prodotte indipendentemente dal suo inadempimento (per esempio in epoca precedente al dissesto o quelle che si producono necessariamente nella fase della liquidazione).

Nel caso concreto, all’A.U. erano state contestate delle condotte inadempienti specifiche (distrazione di beni sociali, omessa redazione di due bilanci d’esercizio e dichiarazioni fiscali, omessa tenuta della contabilità sociale) che non potevano certamente porsi come causa potenziale dell’intero dissesto patrimoniale.

Con particolare riferimento all’omessa tenuta delle scritture contabili, le S.U. rilevano come certamente la corretta tenuta delle stesse sia un dovere dell’amministratore e, pertanto, il mancato rinvenimento delle stesse giustifica l’allegazione di tale inadempimento da parte del curatore. Ma altro e diverso aspetto è verificare se e quale pregiudizio sia potenzialmente ricollegabile a tale omissione in termini di lucro cessante o danno emergente per il patrimonio della società.

Infatti, se l’omessa o inesatta tenuta della contabilità integra la violazione di un obbligo di legge in capo agli amministratori potenzialmente pregiudizievole (per es. in termini di aggravio di costi della procedura per il maggior onere del curatore nel ricostruire la situazione senza il supporto delle scritture), tale condotta non si traduce automaticamente in un pregiudizio per la società: “la contabilità registra gli accadimenti economici che interessano l’attività dell’impresa, non li determina; ed è da quegli accadimenti che deriva il deficit patrimoniale, non certo dalla loro (mancata o scorretta) registrazione in contabilità“.

Neppure condivisibile appare la tesi secondo la quale la mancanza delle scritture contabili, impedendo al curatore di provare con precisione il danno sofferto dalla società, giustifica l’inversione dell’onere della prova del danno e del nesso causale in capo all’amministratore in applicazione del principio della vicinanza della prova. Tale principio, infatti, postula che “l’attore abbia allegato un inadempimento del convenuto almeno astrattamente idoneo a porsi come causa del danno di cui pretende il risarcimento. Solo tale condizione potrà ipotizzare il suo esonero dalla dimostrazione del nesso di causalità che (soprattutto in senso giuridico) deve esistere tra l’inadempimento ed il danno, se la prova dipenda da fatti o circostanze di cui egli non è in grado di disporre e che sono invece nella disponibilità del convenuto. Ma la mancanza o l’irregolarità della contabilità sociale … non sono legate da alcun potenziale nesso eziologico con il danno costituito dal deficit patrimoniale accertato in sede di fallimento“.

Le S.U. sottolineano come postulare che l’amministratore debba rispondere dello sbilancio patrimoniale semplicemente per non aver tenuto la contabilità significhi attribuire una funzione palesemente sanzionatoria al risarcimento del danno, incompatibile nel ns ordinamento al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge.

Resta comunque fermo il principio secondo il quale se la mancanza delle scritture contabili rende difficile la quantificazione e la prova precisa del danno riconducibile a ben determinati inadempimenti degli amministratori, il curatore potrà invocare l’art.1226 c.c. chiedendo che il giudice liquidi in via equitativa il danno che potrà essere ancorato proprio allo sbilancio fallimentare. In tal caso il giudice dovrà, per evitare di trasformare la liquidazione del danno in via equitativa in un criterio arbitrario, “indicare le ragioni che non hanno permesso l’accertamento degli specifici effetti pregiudizievoli concretamente riconducibili alla condotta del convenuto, nonché la plausibilità logica del ricorso a detto criterio, facendo riferimento alle circostanze del caso concreto