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CALA IL SIPARIO SULL’ASSEGNO DIVORZILE

L’amore finisce.Il matrimonio finisce. Ma l’obbligo di mantenimento dell’ex coniuge economicamente più debole e legittimato a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, quello non finisce. O meglio, non finiva, almeno fino alla recente e sconvolgente (in termini di riflessi pratici che potrà avere sulle faide familiari che scaturiscono dai divorzi) sentenza della Corte di Cassazione n.11504/2017 che ci dice, in pratica, che il precedente modus operandi è frutto di un errore interpretativo della normativa di riferimento.
Il presupposto argomentativo è che, scioltosi il matrimonio, il vincolo matrimoniale si estingue, con la conseguenza che i soggetti perdono il loro status di coniugi per diventare soggetti singoli e vengono meno i rapporti economico-patrimoniali tra i coniugi, rapporti in cui deve includersi anche l’obbligo di assistenza morale e materiale di cui all’art.143, II comma c.c.
Il diritto all’assegno divorzile di cui all’art.5, VI comma Legge n.898/1970 non sorge in modo automatico ma presuppone, al contrario, un duplice accertamento uno in ordine all’an debeatrur e l’altro, solo successivo, sul quantum debeatur: si tratta, pertanto, di un diritto eventuale e condizionato che trova fondamento nel concetto di solidarietà economica così come prevista dagli artt.2 e 23 della Costituzione, e declinato nel senso di solidarietà post coniugale che, conseguentemente, determina la natura assistenziale dell’assegno divorzile.
Riconoscere tout court l’assegno divorzile in mancanza di ragioni di solidarietà economica e semplicemente sulla base del fatto che deve essere garantito il medesimo tenore di vita coniugale, comporta una “locupletazione illegittima, in quanto fondata esclusivamente sul fatto della ‘mera preesitenza’ di un rapporto matrimoniale ormai estinto ed inoltre di durata tendenzialmente sine die” (con evidente compromissione dei diritti constituzionalmente garantiti del coniuge gravato dell’assegno che, difficilmente, può sostenere economicamente una nuova famiglia).
Il primo vaglio da operare è quindi quello volto a verificare se l’ex coniuge richiedente possiede mezzi adeguati o è in grado di procurarseli (circostanze che devono essere allegate e provate dal richiedente). Dopo le sentenze di Cassazione n.11490 e 11492 del 1990 il parametro di riferimento su cui valutare la sussistenza di mezzi adeguati era il tenore di vita coniugale: ma la Cassazione oggi ci dice che tale criterio non è più attuale perché innanzitutto comporta una ultrattività del vincolo matrimoniale che, benché scioltosi e quindi estintosi per effetto del divorzio, continuerebbe del tutto illegittimamente a produrre effetti.
Deve effettuarsi un cambio di prospettiva e tenere conto del fatto che con l’assegno divorzile si tutela non l’interesse a riequilibrare le condizioni economiche degli ex coniugi (perché così si farebbe ancora vivere un vincolo in realtà estinto), ma a permettere al coniuge il raggiungimento dell’indipendenza economica in un’ottica di autoresponsabilità economica. Le valutazioni che il Tribunale è chiamato a svolgere ex art.5, VI comma L.898/1970 riguardano non la fase dell’accertamento dell’an debeatur ma quella della determinazione del quantum per verificare la veridicità ed attendibilità delle prove fornite dalla parti.
Pertanto, chiarito che il parametro del tenore di vita non è più percorribile, la Cassazione enuclea quali sono i criteri per valutare l’adeguatezza-inadeguatezza dei mezzi (ricavabili per analogia iuris da quanto previsto dall’art.337-septies I comma c.c. e 155 quinquies c.c.):
possesso di redditi di qualsiasi specie;
possesso di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari, tenuto conto di tutti gli oneri lato sensu “imposti” e del costo della vita nel luogo di residenza (“dimora abituale”: art.43, II comma c.c.) della persona che richiede l’assegno;
le capacità e le possibilità effettive di lavoro personale, in relazione alla salute, all’età, al sesso ed al mercato del lavoro dipendente o autonomo;
la stabile disponibilità di una casa di abitazione.
Sarà davvero interessante verificare come questi principi troveranno applicazione nei Tribunali e, soprattutto, se saranno in grado di “sedare gli animi” dei coniugi nei procedimenti di divorzio venendo di fatto meno uno degli argomenti di maggiore scontro tra le parti.