Blog

Divagazioni semi-giuridiche/2 OSSIGENO

Certo, a dirlo adesso che quel matrimonio non sarebbe durato, con le carte del divorzio firmate, nessuno le avrebbe creduto che invece lei sì, lei l’aveva sempre detto che c’era qualcosa in loro che non la convinceva.

Saranno state quelle fedi, quella di lui quadrata e quella di lei rotonda, che non le erano poi sembrate un inno al rispetto dell’altro, quanto piuttosto l’incapacità- fin da subito dimostrata, di non sapersi fondere.

Poi era venuta la casa, perfetta. Certo, il bagno non era proprio come Eugenia lo aveva sognato, ma ci sarebbe stato modo di rifarlo. La cucina, però, era quella che Eugenia aveva sempre amato, accarezzato nelle pagine delle riviste, in cui si era sognata e vista muoversi e cucinare in una vita felice e semplicemente perfetta.

Poi c’erano stati i figli, Saverio e Sofia, perfetti anche quelli. Erano arrivati quando erano stati programmati, non un secondo dopo. Era stato uno spasso coccolarli e farli giocare al parco nei loro completini in nuance.

E poi c’erano stati i mobili di design, i viaggi in resort di lusso, piumini e borse di firma. Loro avevano tutto e tutto era perfetto. E tutto aveva il sapore di qualcosa di dovuto e non di conquistato tra fatiche e sudore. La loro vita aveva il profumo delle scarpe di cuoio appena comprate.

E poi c’era stata la carriera, un susseguirsi di promozioni e viaggi all’estero: un caotico andirivieni di aerei e riunioni per tornare nel week end in una casa sempre più silenziosa.

E poi gli amici li avevano lentamenti abbandonati, incapaci di tener dietro alla loro vita a cinque stelle superior pagata con i soldi delle buone uscite dei genitori.

E poi era arrivato il vuoto tra loro. Cos’erano, adesso? Solo i genitori di Saverio e Sofia. Ma “loro”, “loro” dove erano finiti? “Loro”, c’erano mai stati? Erano mai stati una coppia? Le sere erano state un susseguirsi di “io esco con le mie amiche” “ed io esco con i miei”; “io guardo la TV in salotto e tu in camera”, era stato un continuo apparente rispetto della libertà dell’altro che, in fondo, altro non era che l’impossibilità di fondersi, forse per paura di confondersi.

Adesso Riccardo lasciava Eugenia. Basta. Non poteva ridursi ad essere solo il padre di Saverio e Sofia. No, lui voleva ancora scopare con una donna, andare a cena fuori e sentirsi un figo come a vent’anni quando pensi che tutto è ancora possibile, tutto è ancora raggiungibile basta solo allungare la mano per prenderlo. Lui voleva godere di questi anni prima che un tumore alla prostata lo costringesse ad accontentarsi di guardare le vite degli altri.

E Riccardo si era aggrappato a questo nuovo bilocale tutto arredato IKEA, dove la sua nuova pollastra si sarebbe presto sentita la regina di casa e gli avrebbe messo un nuovo, stretto, guinzaglio. Si sarebbe a poco a poco impossessata dei vuoti. E con un sorriso languido, carico di belle promesse che lei mai gli avrebbe negato una trombata e che no, lei mai gli avrebbe rotto le palle mentre c’era la partita parlandogli male di quella rompicoglioni di sua madre, lei avrebbe stretto quel guinzaglio fino a fargli mancare, di nuovo, l’aria.