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FIDEIUSSIONE PRESTATA DALL’AMMINISTRATORE IN CONFLITTO DI INTERESSI OVVERO ECCEDENDO L’OGGETTO SOCIALE

Con la sentenza n.20597/2010 la Cassazione esamina i presupposti in base ai quali possa ritenersi invalida per conflitto di interessi ovvero perché atto eccedente l’oggetto sociale la fideiussione rilasciata dall’amministratore unico di una società che, in nome della stessa, la vincola ultra vires (ben oltre il capitale sociale) in favore di altra società dal medesimo amministrata ma in stato di decozione, sottolineando l’irrilevanza dell’eventuale delibera sociale ai sensi dell’allora vigente art.2384 bis c.c.

La vicenda esaminata dalla Corte è quella derivante da un’opposizione a decreto ingiuntivo ottenuto dalla banca nei confronti della società garante che si è opposta alla richiesta eccependo, fra l’altro, l’invalidità della fideiussione perché era stata prestata dall’amministratore in conflitto di interessi (e quindi invocando la disciplina di cui agli artt.1394 – 1395 c.c.) e perché l’atto era estraneo all’oggetto sociale a nulla rilevando la delibera totalitaria dei soci di autorizzazione all’atto.

Mentre in primo grado l’opposizione è stata accolta, in secondo grado la sentenza è stata completamente ribaltata, poiché la Corte di Appello di Venezia ha affermato, in modo apodittico per citare le parole della Cassazione, che “l’efficacia del singolo atto, se pur non riconducibile all’oggetto sociale, allorquando lo stesso figuri conforme alla volontà unanime dei partecipanti, non può ritenersi revocabile in dubbio, non venendo in rilievo peri fini che qui occupano, neppure le modalità di azione dei detto atto”. Secondo la Corte di Appello, quindi sarebbe sufficiente la delibera dei soci per autorizzare un atto eccedente l’oggetto sociale: in presenza di tale autorizzazione quindi verrebbe anche automaticamente meno l’ipotesi del conflitto di interessi dell’amministratore.

La Corte di Cassazione, invece, accogliendo il ricorso della società garante, ha affermato:

-è invalida la fideiussione prestata dall’amministratore in conflitto di interessi, conflitto che non può essere eliminato neppure se interviene la delibera totalitaria dell’assemblea dei soci: tale delibera, infatti, non avrebbe potere sanare dell’illiceità che inerisce alla delibera stessa che sarebbe volta a “rovinare una società di capitali solvente, in favore di altra società in evidente e nota decozione”;

-l’assemblea dei soci non può convalidare un atto illecito ed in contrasto con l’utilità sociale che, ai sensi dell’art.41, co.2 Costituzione, deve essere perseguita dall’iniziativa economica. Ossia l’oggetto sociale dell’impresa persegue l’utilità sociale e quindi non solo gli interessi dei soci ma anche quelli dei creditori, pertanto, un atto societario che violi l’oggetto sociale, si appalesa come atto contrario all’ordine pubblico (perché sarebbe lesivo dell’utile sociale, bene di rango costituzionale), con la conseguenza della sua nullità radicale e della conseguente nullità dell’atto autorizzativo (ossia della delibera assembleare che certo non può rendere lecito un atto posto in essere in contrasto con l’ordine pubblico).

Il principio forse più interessante -e sicuramente quello che è stato più criticato in dottrina- è che “se lo scopo sociale corrisponde al limite legale e virtuoso delle imprese, lo atto ultra vires compiuto dallo amministratore, con il concerto di soci avventurosi, non viola semplicemente il limite convenzionale dei poteri di rappresentanza, ma viola disposizioni di leggi imperative, anche di rango costituzionale, derivandone in linea di principio, la nullità dello atto stesso e la conseguente impossibilità di una sua autorizzazione preventiva o ratifica”.

Molta parte della dottrina ha aspramente criticato questa sentenza sostenendo che, invece, l’atto ultra vires non è né nullo né inefficace (e questo anche sotto la disciplina vigente ante riforma) ma, al massimo, va considerato inefficace nella sola ipotesi in cui la controparte abbia intenzionalmente agito a danno della società. Resta comunque, a parere di chi scrive, la possibilità che l’atto ultra vires possa qualificarsi come atto che comporti la sostanziale modifica dell’oggetto sociale e che pertanto sia di competenza riservato alla assemblea dei soci così come previsto dall’art.2479, co.2 n.5 c.c., con la conseguenza che l’amministratore che lo ponga in esser si troverebbe ad operare quale falsus procurator (ex art.1398 c.c.) con conseguente invalidità dell’atto compiuto