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La nuova legge n.24/2017 sulla sicurezza delle cure / II parte (articolo 7 – Responsabilità civile della struttura e dell’esercente la professione sanitaria).

Dal prossimo 1 aprile 2017 entra in vigore la L.24/2017, recante “disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie”.

In un precedente scritto abbiamo trattato gli artt. da 1 a 6 della Legge, concentrandoci sulla ratio della normativa, sulla portata delle nuove linee guida, sulle strutture pubbliche che avranno il compito di perseguire la sicurezza nelle cure sanitarie e sulla responsabilità penale dell’esercente la professione sanitaria.

Questo post è invece dedicato in via esclusiva dell’art.7 della L.24/2017 che tratta l’inquadramento giuridico della responsabilità civile della struttura e dell’esercente la professione sanitaria, cercando di porre rimedio alle problematiche create dalla c.d. “legge Balduzzi” (L.189/2012 di conversione del D.L.158/2012).

Prima del decreto Balduzzi, l’analisi giurisprudenziale della questione aveva raggiunto approdi pressoché certi e condivisi.

In particolare, quanto alla responsabilità della struttura sanitaria, era stato affermato (ad es. Cassazione, Sezioni Unite, sent. n.9556/2002 e sent. n.577/2008) che il rapporto che lega la struttura, sia essa pubblica o privata, al paziente ha fonte in un contratto obbligatorio atipico (c.d. contratto di “spedalità”) che si perfeziona con la semplice accettazione del paziente presso la struttura e comporta l’obbligo di quest’ultima di adempiere principalmente prestazioni sanitarie in favore del malato.

La responsabilità civile (risarcimento del danno) per l’inadempimento delle prestazioni era inquadrata, senza particolari dubbi, nell’ambito della responsabilità di tipo contrattuale di cui all’art.1218 c.c. che addossa al paziente danneggiato l’onere di provare l’inadempimento e il danno, mentre la struttura sanitaria, per liberarsi della responsabilità, era onerata della ben più gravosa prova che la prestazione fosse stata correttamente eseguita e che l’inadempimento o il ritardo fossero dovuti ad impossibilità della prestazione per causa non imputabile al sanitario di cui, a qualsiasi titolo, si fosse avvalsa la struttura per l’esecuzione della prestazione.

L’inquadramento nell’ambito della responsabilità contrattuale comportava l’applicazione di un termine decennale per la prescrizione del diritto al risarcimento del danno.

La giurisprudenza aveva poi inquadrato nell’abito della responsabilità ex art.1218 c.c. anche la responsabilità del medico dipendente e/o collaboratore della struttura sanitaria, autore materiale dell’omissione o della condotta positiva cagionante il danno lamentato, elaborando a tal fine la nota teoria del c.d. “contatto sociale” che obbligava il medico all’esecuzione di prestazioni di carattere contrattuale nei confronti del paziente.

In questo contesto è entrata a gamba tesa la c.d. “legge Balduzzi” (L.189/2012 di conversione del D.L.158/2012) che, stravolgendo il sistema così come raggiunto dopo approfondito esame da parte della giurisprudenza, all’art.3 ha stabilito che: “…l’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’art.2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo”.

Il riferimento all’ “obbligo di cui all’art.2043 del codice civile” e quindi alle norme civilistiche in tema di responsabilità extracontrattuale, ha dato vita ad un acceso dibattito in dottrina e giurisprudenza per cercare di comprendere la reale portata della norma e, in particolare, per cercare di stabilire, dopo la Legge Balduzzi, se la responsabilità del medico fosse di tipo contrattuale (secondo l’interpretazione consolidata sopra ricordata) o se, invece, si fosse approdati ad un regime di responsabilità extracontrattuale ex art.2043 c.c. con le conseguenze del caso (onere della prova interamente a carico del paziente che sarebbe tenuto a dimostrare l’evento, il dolo o la colpa del medico e il danno, il tutto nell’abito di un sistema di prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento).

Contrapposte opinioni nella giurisprudenza di merito sono apparse in tutta Italia e anche all’interno del medesimo ufficio giudiziario.

Sono note, infatti, le contrastanti pronunce cui è pervenuto il Tribunale di Milano nell’interpretare le criptiche novità della c.d. Legge Balduzzi.

Secondo la sentenza n.9693/2014 Trib. Milano, sezione I civile, si può affermare, in sintesi, che: -il disposto della Legge Balduzzi non incide sui regimi di responsabilità civile che ricadono comunque nell’ambito dell’art.1218 c.c. (responsabilità contrattuale); -per la Legge Balduzzi ricadono nell’ambito dell’art.2043 c.c. (responsabilità di tipo extracontrattuale) le condotte che non costituiscono inadempimento contrattuale; -se il paziente richiedente il risarcimento agisce in via esclusiva contro il medico, senza specificare il rapporto contrattuale, l’azione giudiziaria va inquadrata nell’ambito dell’art.2043 c.c. con le conseguenze più sopra ricordate in tema di onere della prova.

La sentenza n.13574/2014 Trib. Milano, sezione V civile, ha invece elaborato una distinta tesi, affermando che la Legge Balduzzi, all’art.3, si riferisce esplicitamente ai soli casi di colpa lieve dell’esercente la professione sanitaria che si sia attenuto alle linee guida, statuendo in ambito penale l’esclusione di responsabilità, senza toccare l’ambito civilistico della materia che inquadra la responsabilità medica in ambito contrattuale.

La nuova legge n.24/2017 in esame, provando a mettere ordine alla questione, all’art.7 ha abrogato le disposizioni ora commentate della Legge Balduzzi, ha circoscritto la responsabilità della struttura sanitaria -pubblica o privata- per l’operato di sanitari -indifferente se siano o non siano dipendenti o scelti dal paziente- nell’ambito dell’art.1218 c.c. (responsabilità contrattuale).

Il comma 2 dell’art.7 specifica inoltre che tale responsabilità permane anche se le prestazioni sono svolte presso la struttura in regime di libera professione, di convenzione con S.S.N., ovvero nell’ambito della sperimentazione o attraverso la telemedicina.

Il comma 3, invece, differenzia la posizione dell’esercente la professione sanitaria, affermando che egli risponde nell’ambito del regime extracontrattuale di cui all’art.2043 c.c., salvo che abbia agito nell’adempimento di un’obbligazione contrattuale pattuita col paziente. Ai soli fini della determinazione del risarcimento (quantum debeatur), si deve tenere in conto se l’esercente la professione sanitaria abbia seguito le linee guida ma, sul punto, nessuna specificazione è data dalla norma e, pertanto, risulta di difficile interpretazione.

Il comma 4 stabilisce che il danno è risarcito sulla base delle tabelle elaborate dal codice delle assicurazioni private.

Il comma 5, infine, precisa che le norme del presente articolo costituiscono norme imperative ai sensi del codice civile.

Si può pertanto affermare che, con tale normativa, il Legislatore abbia “adottato” l’interpretazione di cui alla citata sentenza n.9693/2014 Trib. Milano, sezione I civile, stavolta evitando, con i limiti di cui sopra, di creare fraintendimenti attraverso un disposto più chiaro rispetto alla Legge Balduzzi, inserendo anche una disposizione “di chiusura” come quella di cui all’ultimo comma 5.

Si deve infine sottolineare come il riferimento al sistema del codice delle assicurazioni per le tabelle dei risarcimenti comporterà, di fatto, un forte contenimento dei risarcimenti erogati ai soggetti danneggiati.

-fine seconda parte- SEGUE