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TESTAMENTO OLOGRAFO: VERO O FALSO?

Non è molto raro che, alla morte di una persona, riposto in tasca il fazzoletto usato per asciugarsi le lacrime, si estragga il cellulare per telefonare all’avvocato e dare inizio ad una guerra ereditaria.

Il casus belli è spesso rappresentato dal ritrovamento di un testamento olografo, vale a dire un testamento che il nostro codice civile definisce come scritto per intero, datato e sottoscritto di mano dal testatore e che nella pratica viene comunemente preferito, per ragioni di praticità, economicità e riservatezza, ad altre forme testamentarie (pubblico, segreto). Le grandi liti nascono tuttavia dai contrasti circa l’attribuibilità al testatore della paternità del testamento, non di rado rinvenuto per pura casualità da qualche parente, inventariando i beni appartenuti al de cuius.

Per poter dare esecuzione alle disposizioni testamentarie, il testamento olografo deve essere senza indugio (l’occultamento di un testamento olografo costituisce infatti reato) consegnato ad un notaio che ne curi la pubblicazione e che svolga i successivi adempimenti.

La pubblicazione del testamento olografo, atto giuridico necessario ed imprescindibile per dare corso alla successione, costituisce anche, per così dire, il “fischio di inizio” della partita che, a grandi linee, per semplificare, si svolge tra eredi testamentari (beneficiati dal testamento) ed eredi legittimi (che erediterebbero in assenza di testamento) per determinare la paternità del testamento, con le ovvie conseguenze sulla ripartizione dell’asse ereditario.

Dirimere una lite del genere non è cosa semplice: se, all’atto pratico, il giudice dispone una perizia calligrafica per accertare se il testo olografo sia di paternità di un determinato soggetto attraverso l’esame di scritture comparative (vale a dire di scritture della cui paternità si è certi), non è altrettanto semplice incardinare questa attività di accertamento nelle regole processuali civili, e questo al netto delle critiche che poi possono essere mosse alla perizia calligrafica, pur sempre demandata ad imperfetti esseri umani.

La regola base del processo civile in tema di onere della prova è dettata dall’art.2697 del codice civile che stabilisce che “chi vuol fare valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento”, con le conseguenze facilmente intuibili dell’eventuale difetto o insuccesso di quella prova.

Nel caso di specie, nel silenzio normativo, addossare l’onere della prova circa la paternità o meno del testamento olografo all’erede testamentario ovvero all’erede legittimo, può incidere in maniera anche pesante sullo svolgimento della causa, non essendo facile, ad esempio, reperire scritture di comparazione.

L’applicazione giurisprudenziale del principio ha trovato pareri differenti tra gli interpreti.

Un primo orientamento ritiene che il testamento olografo sia collocabile fra le scritture private sicché, sul piano dell’efficacia, è necessario e sufficiente che colui (l’erede legittimo) contro il quale sia prodotto disconosca la scrittura, da ciò derivando l’onere della controparte (erede testamentario) di dimostrare la sua provenienza dall’autore apparente. Secondo tale orientamento, l’onere della prova della proposizione dell’istanza di verificazione del documento contestato è in capo all’erede testamentario, mentre nessun onere particolare, a parte quello del disconoscimento, ricade sull’erede legittimo che, una volta dimostrata la propria relazione di parentela col de cuius, partecipa alla causa da una posizione di favore in termini di minore attività processuale.

Un secondo orientamento, invece, ritiene che il testamento olografo, pur non essendo un atto pubblico, ha una intrinseca rilevanza sostanziale e processuale che viene conferita dalla pubblicazione tramite notaio. Pertanto, la contestazione della sua autenticità non può che essere fatta tramite la c.d. querela di falso, speciale procedimento previsto dall’ordinamento giuridico per contestare la autenticità di un atto con valore pubblico. Ovviamente tale diverso inquadramento giuridico sposta l’onere della prova a carico dell’erede legittimo che contesti la genuinità della scheda testamentaria.

Della composizione dell’insanabile contrasto pluridecennale sono state investite le Sezioni Unite della Corte di Cassazione che, con sentenza n.12307 del 15/6/2015, hanno cercato di dirimere la questione analizzando a fondo i due orientamenti, entrambi sorretti da argomentazioni autorevoli e persuasive.

Il problema risiede nel valore da attribuire al testamento olografo.

In base al primo orientamento sopra descritto, il testamento olografo è di per sé una scrittura privata semplice che, solo dopo la verificazione o il riconoscimento, può acquistare efficacia di piena prova fino a querela di falso ex art.2702 c.c.

Il secondo opposto orientamento, invece, pur non riconoscendo valore di atto pubblico al testamento olografo, ritiene che il disconoscimento della scrittura privata possa essere effettuato solo da chi sia autore dello scritto o da un suo erede testamentario, non certamente dagli eredi legittimi che sono estranei alla scheda testamentaria e che, pertanto, devono proporre querela di falso se intendono contestarne la autenticità.

Le Sezioni Unite, analizzando il panorama giurisprudenziale, hanno dato conto anche di un terzo orientamento, rimasto isolato, risalente a Cass.1545/1951 che, premessa la legittimità di un’azione di accertamento negativo in ordine alla provenienza delle scritture private e del testamento olografo, afferma che l’onere della prova spetta all’attore che chieda di accertare la non provenienza del documento da chi apparentemente ne risulta l’autore, tenuto conto che la contestazione della genuinità del testamento olografo si traduce in una domanda di accertamento negativo della validità del documento stesso.

A conclusione del proprio articolato e approfondito ragionamento, le Sezioni Unite ritengono che le inevitabili criticità dei due orientamenti principali possano essere superate adottando una terza via, proprio quella indicata nella sentenza del 1951 sopra richiamata e cioè della necessità di proporre un’azione di accertamento negativo della falsità, il tutto al fine di rispondere, da un canto, all’esigenza di mantenere il testamento olografo fra le scritture private; dall’altro, di evitare la necessità di individuare un improbabile criterio per individuare le scritture private dotate di valenza probatoria elevata e tale da richiedere la querela di falso per la loro contestazione; dall’altro ancora, di evitare che il semplice disconoscimento del testamento olografo come scrittura privata renda troppo gravosa la posizione processuale dell’erede testamentario riversando su di lui l’intero onere probatorio; infine, di evitare che la soluzione della controversia si disperda in un lungo procedimento incidentale quale quello previsto per la querela di falso.

Sulla base di tali considerazioni così riassunte, le Sezioni Unite hanno affermato il seguente principio di diritto: “La parte che contesti l’autenticità del testamento olografo deve proporre domanda di accertamento negativo della provenienza della scrittura, e l’onere della relativa prova, secondo i principi generali dettati in tema di accertamento negativo, grava sulla parte stessa”.