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PARMENIDE E L’INTERPRETAZIONE SUL LAVORO A TERMINE DEL TRIBUNALE DI BOLOGNA

Nel Poema sulla natura Parmenide sostiene che la molteplicità e i mutamenti del mondo fisico sono illusori, e afferma, contrariamente al senso comune, la realtà dell’Essere: immutabile, ingenerato, finito, immortale, unico, omogeneo, immobile, eterno: l’Essere è, e non può non essere.
Il filosofo racconta il suo viaggio immaginario verso la dimora della dea Dike (dea della Giustizia) la quale lo condurrà al «cuore inconcusso della ben rotonda verità». La dea mostra al filosofo la via dell’opinione, che conduce all’apparenza e all’inganno, e la via della verità che conduce alla sapienza e all’Essere.
Purtroppo, sembra che il Tribunale di Bologna, Sezione Lavoro, in recenti decisioni in tema di lavoro a termine, abbia intrapreso la via dell’opinione.
Fino alla L.78/2014 che ha convertito il c.d. “decreto lavoro” D.L.34/2014 introducendo l’abolizione dell’obbligo di indicare i motivi di apposizione del termine ai rapporti di lavoro costituiti dopo l’entrata in vigore dei provvedimenti richiamati, la normativa sul contratto a tempo determinato (decreto legislativo n.368/2001) ha beneficiato di un’interpretazione solida, così sintetizzabile:
I) il contratto a termine è un’eccezione rispetto alla forma comune di lavoro subordinato (contratto a tempo indeterminato);
II) per poter apporre un termine al contratto di lavoro è (era) necessaria la sussistenza di “ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili all’ordinaria attività del datore di lavoro”;
III) il datore di lavoro non può (poteva) limitarsi a ripetere la presenza di ragioni tecniche/organizzative/produttive ma deve (doveva) invece specificare per iscritto le concrete e comprovabili ragioni oggettive ricorrenti nel caso di specie, in modo da consentirne la verificabilità ex ante e dunque la loro immutabilità ex post;
IV) al mancato assolvimento dell’onere formale così dedotto consegue l’inutilità di ogni verifica sulla effettiva sussistenza della causale genericamente allegata, che in quanto tale risulta non controllabile e modificabile.
In una recente decisione (Cass. Sez. Lav. 13992/2013), la Suprema Corte ha avuto appunto modo di ribadire che “le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo poste a sostegno dell’apposizione del termine al contratto di lavoro devono essere specificate dal datore di lavoro in maniera circostanziata e puntuale, in modo da consentire il controllo della connessione tra la durata temporanea della prestazione, le esigenze produttive ed organizzative dedotte e l’utilizzazione del lavoratore, anche in base agli accordi collettivi richiamati nel contratto costitutivo del rapporto” (fattispecie in tema di contratto a termine riportante la seguente causale: “esigenze tecniche, organizzative e produttive anche di carattere straordinario conseguenti ai processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche, ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi nonché all’attuazione delle previsioni di cui agli accordi del 17, 18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001 e 11 gennaio 2002, 13 febbraio e 17 aprile 2002″, causale ritenuta dalla Corte d’Appello prima e dalla Suprema Corte “generica e inconcludente”).

Recentemente, con alcune decisioni fra loro contraddittorie, il Tribunale di Bologna Sezione Lavoro si è posto in netto contrasto non solo con l’orientamento assolutamente prevalente sopra richiamato della Cassazione, ma anche con il proprio orientamento espresso in più occasioni.

Ecco le storie che riguardano ben 15 lavoratori dello stesso datore di lavoro.
Cinque lavoratori a termine (lavoratore 1, lavoratore 2, lavoratore 3, lavoratore 4, lavoratore 5) impugnano il contratto a tempo determinato concluso con l’impresa Alfa, contestando la genericità e nullità della causale “attività connesse alla necessità di far fronte alle richieste produttive non differibili e limitate nel tempo”.
Il giudice del lavoro X, occupandosi in via d’urgenza del ricorso in quanto, scaduto il termine, i lavoratori sono rimasti senza occupazione, riconosce che le ragioni di carattere produttivo devono essere indicate e specificate in modo analitico e dettagliato e, con riferimento alla clausola citata, afferma che la stessa è astrattamente nulla per indeterminatezza e genericità.
Il giudice X, pertanto, in via cautelare e d’urgenza ordina all’impresa Alfa di ricostituire il rapporto di lavoro interrotto con reintegra di lavoratore 1, lavoratore 2, lavoratore 3, lavoratore 4 e lavoratore 5 nel posto di lavoro con mansioni equivalenti.
Non è stato necessario proseguire la causa in via ordinaria per la conferma del provvedimento in quanto le parti hanno dato esecuzione all’ordinanza del giudice X e hanno conciliato la causa. (Tribunale Bologna, sezione Lavoro, ord.29/3/2013)

Parallelamente, altri tre lavoratori a termine (lavoratore 6, lavoratore 7, lavoratore 8) anch’essi dipendenti dell’impresa Alfa, impugnano il contratto a tempo determinato contestando la validità della medesima causale di assunzione per “attività connesse alla necessità di far fronte alle richieste produttive non differibili e limitate nel tempo”.
Stavolta la causa viene affidata al giudice del lavoro Y a cui, peraltro, non viene richiesto di provvedere in via d’urgenza. così si procede all’istruttoria della causa ordinaria al termine della quale Y, di diverso parere rispetto al collega X, rigetta la domanda dei ricorrenti ritenendo, fra l’altro, che la causale contestata, “facendo riferimento alla necessità di fronteggiare richieste produttive non differibili e limitate nel tempo, abbia, sinteticamente, richiamato quelle punte di più intensa attività produttiva, derivanti anche da un contingente incremento delle commesse, così soddisfacendo, ad avviso del giudicante, l’esigenza di specificazione imposta dall’art.1 del d.lgs. n.368/11”.
lavoratore 6, lavoratore 7 e lavoratore 8 decidono di proporre appello avverso la sentenza di Y (Tribunale di Bologna, Sezione Lavoro, sentenza 121/2014). Il processo pende ora davanti alla Corte d’Appello.

Un’altra causa contro Alfa è proposta da lavoratore 9, lavoratore 10, lavoratore 11, lavoratore 12, lavoratore 13 e lavoratore 14, sempre per contestare la validità della causale di assunzione per “attività connesse alla necessità di far fronte alle richieste produttive non differibili e limitate nel tempo”.
La controversia stavolta viene affidata al giudice Z che, pur prendendo atto dello stato di disoccupazione dei ricorrenti, non ritiene di dover adottare provvedimenti d’urgenza essendo la causa di pronta soluzione (Tribunale di Bologna, Sezione Lavoro, ord. 9/12/2013).
La discussione è fissata a giugno del 2015 (sic!), 4 lavoratori su 6 accettano una proposta conciliativa di Alfa. Altri due lavoratori aspettano l’esito della causa.

Un altro ex dipendente di Alfa, lavoratore 15, propone ricorso contro Alfa per la genericità e nullità della causale “attività connesse alla necessità di far fronte alle richieste produttive non differibili e limitate nel tempo”.
La causa viene affidata al giudice X che, tuttavia, pur ritenendo sussistenti i motivi per una trattazione d’urgenza in quanto lavoratore 15 è rimasto disoccupato, cambia idea rispetto al proprio primo pronunciamento sopra ricordato e rigetta il ricorso poiché la causale “seppure sinteticamente e superficialmente declinata, appare sufficiente dal punto di vista strettamente formale, perché consente sia al lavoratore che al Giudice di individuare ex ante, con ragionevole approssimazione e specificità, le ragioni poste a fondamento della clausola di apposizione del termine”. (Tribunale di Bologna, sezione Lavoro, ord.9/7/2014)
Lavoratore 15 propone reclamo in via d’urgenza. Il Tribunale, con il giudice relatore Z, respinge il reclamo in quanto, a suo dire, non vi sono ragioni per la trattazione d’urgenza poiché la causa è di pronta soluzione e rimanda gli atti al giudice del merito X. (Tribunale di Bologna, sezione Lavoro, ord.3/10/2014).
Il giudice X, pur ritenendo la causa pronta per la decisione, rinvia la discussione di quasi 4 mesi a febbraio 2015 e in quella sede, rigetta il ricorso sostenendo di nuovo che la causale “seppure sinteticamente e superficialmente declinata, appare sufficiente dal punto di vista strettamente formale, perché consente sia al lavoratore che al Giudice di individuare ex ante, con ragionevole approssimazione e specificità, le ragioni poste a fondamento della clausola di apposizione del termine” (Tribunale di Bologna, Sezione Lavoro, sentenza 20/2/2015). Lavoratore 15 continua a rimanere senza occupazione e si appresta a proporre appello.

Pare evidente che le pronunce sopra menzionate rendano più complicata la ricerca della certezza del diritto.
Del resto per alcuni studiosi la certezza del diritto è una mera illusione poiché l’attività interpretativa del giudice chiamato a dare attuazione ai principi normativi ha un inevitabile carattere creativo che rende impossibile prevedere fino in fondo le decisioni degli organi giudiziari.
Tuttavia è ben vero che la certezza del diritto, pur nelle difficoltà interpretative dei testi normativi, deve essere un Principio cui tendere per permettere al cittadino di valutare e prevedere, in base alle norme generali dell’ordinamento, le conseguenze giuridiche della propria condotta, e soprattutto, per garantire la libertà dell’individuo e l’eguaglianza dei cittadini davanti alla legge.